In un periodo di evidente barbarie culturale a tutti i livelli, scaturita da una logica del profitto che sembra assoggettare a sé ogni momento ed attività quotidiani, crediamo sia quanto meno eticamente responsabile provare a tamponare una falla che sta divorando in poco tempo più di duemila anni di storia e civiltà. E’ alla luce del sole il cinismo con cui si svolgono azioni e si intessono rapporti umani, ormai anche tra i bambini; per citare un solo esempio, che sulle prime potrebbe sembrare poco attinente, chi decide di abbattere senza ripensamenti, per sempre e in un attimo, una sequoia che ha impiegato secoli per essere tale, non può avere un’anima ricettiva per le bellezze che il creato, sempre e comunque, continua ad elargire a chi le voglia e le sappia cogliere.
Per superare questo cinismo che porta a valorizzare e a misurare soltanto possesso e quantità, la Fondazione Giovanni Zanoni ha deciso di continuare a percorrere il cammino intrapreso dal prof. Giovanni Zanoni, nella ferma convinzione che il formarsi attraverso una lingua, ritenuta morta ed inutile, ed il suo portato storico e culturale millenario, possa costituire un viatico per ritrovare il senso del bello, della meraviglia e della poesia, nella parola come nella natura che ci circonda.
Una società cieca, incapace di vedere oltre il misurabile, perde di vista tutto ciò che ci sembra scontato: l’aria, le nostre funzioni vitali, la sapienza nelle mani di un orafo riposta in millenni di prove ed errori, non vengono più considerati e percepiti fino a dimenticarne l’utilità o, peggio, l’esistenza. Ciò che sarebbe, ed è, più utile all’uomo in quanto uomo e non in quanto pedina dell’economia, viene scartato come inutile con il macabro risultato di rinunciare ciò che ci rende uomini. Rinuncia non intesa come atto di volontà ma come negazione a priori di ciò che invece è vivissimo nella forma mentis occidentale fin dalla Grecia del VI secolo a.C.
Allora, il latino e il greco diventano momento di crescita intellettuale consapevole motivata dal piacere intellettuale per la conoscenza; conoscenza di una lingua, strutturata in modo esemplare, attraverso cui scoprire con gran meraviglia i notevoli contributi, ancora percepibili da occhi consapevoli, alla nostra, anch’essa vituperata, lingua italiana: etimologie, derivazioni, costruzioni sintattiche che spesso, proprio attraverso il latino e il greco, ci indicano la corretta funzione grammaticale o il lessico appropriato della nostra lingua. E ancora, conoscere il contesto, culturale, filosofico, religioso, mitologico, antropologico-culturale, aiuta sia a capire meglio chi ci ha preceduto, sia di cogliere, nella diversità dell’oggi, la continuità che ci lega indissolubilmente all’antico; antico che noi vediamo come vecchio e sepolto e che invece è vivo, benché poco visibile, come si diceva, e vitale per il semplice fatto che ci racconta valori e virtù sempre moderni e attualizzabili. Lingue sempreverdi, e mai morte, anche perché scritte spesso da giovani letterati, che pensavano e vivevano con la passionalità e le emozioni che ancor oggi i giovani vivono. Il termine chiave è quindi consapevolezza, ritrovare cioè quel substrato che ci connota e ci permea da millenni ma di cui abbiamo perso le tracce: riappropriarsene attraverso la consapevolezza linguistica ed antropologico-culturale ci permetterebbe di riallacciare il rapporto fecondo con gli antichi.
Ed infine, un monito alla società del consumo: gli antichi erano homo sapiens sapiens, come lo siamo noi, e quindi uomini degni di lode per opere mirabili quanto indegni per efferatezze ancor oggi inaccettabili. Ma ciò che ci separa, totalmente da loro, è il fatto che sapevano sognare e cantavano il valore degli eroi, gli amori degli dei, pur effimeri, le doti di uomini e donne saggi. Oggi, noi, non sappiamo più sognare, non crediamo più nella poesia, non alimentiamo il nostro cuore: tutto è pratico, contabilizzato, posseduto; tutto stagna. E una società che non ha sogni è una società che non ha futuro.